11 settembre 2017

Vi è un’attività a cui la scuola non rinuncia e non può rinunciare: l’incontro con il testo, e in particolare con il testo letterario. Come fare oggi?

Fra pochi giorni le scuole riapriranno le porte e, come ogni anno, bambini e giovani spalancheranno le loro menti e i loro cuori in attesa di storie, significati, prospettive. Abbiamo qualcosa da proporre all’altezza del loro bisogno di senso e del loro desiderio di costruzione? Sappiamo dire che cosa è realmente essenziale per educare le giovani generazioni?

Vi è senz’altro un’attività a cui la scuola non rinuncia e non può rinunciare: l’incontro con il testo, e in particolare con il testo letterario. Il rapporto con il testo è infatti un dialogo a tratti misterioso, in cui autore e lettore hanno bisogno l’uno dell’altro per permettere l’incarnarsi di un’ipotesi di senso in un mondo possibile attraverso le parole. Parole che sgorgano dall’autore, ma che hanno bisogno dell’accoglienza e della collaborazione del lettore per significare pienamente. Insegnare a leggere con intelligenza, pazienza e profondità un testo è dunque un compito irrinunciabile di una scuola che voglia far crescere persone aperte, ragionevoli, capaci di ospitare l’altro e di confrontarsi liberamente e consapevolmente con lui.

Vi sono però alcune condizioni affinché l’incontro con il testo non sia un fuoco d’artificio, evocativo ed estemporaneo, bensì sia realmente educativo e permetta lo sviluppo di conoscenze e competenze. Innanzitutto i testi vanno scelti in base al compito di introdurre le nuove generazioni nella tradizione culturale e alle esigenze reali degli studenti. Occorre proporre testi densi dal punto di vista semantico e sapientemente forgiati. Essi sono infatti il modello di testualità, le fonti di nuovo lessico e di categorie, nonché di modelli sintattici e organizzativi del pensiero e del ragionamento. Il problema della scelta non è mai definitivamente risolto, anche perché occorre fare i conti con studenti la cui modalità di apprendimento e la cui tenuta nella concentrazione hanno subito notevoli cambiamenti negli ultimi anni, per evidenti ragioni legati all’incidenza del digitale fin dalla tenera età.

Molti docenti hanno verificato essere comunque sempre efficace per favorire l’instaurarsi di un rapporto reale tra lo studente e il testo leggere testi integrali in un tempo disteso. La pagina pur bella ma decontestualizzata, il frammento d’autore, il saltellare da un brano all’altro, non aiutano infatti la comprensione del significato e dei significati testuali, non permettono al giovane lettore di affezionarsi a personaggi e contesti, di stupirsi degli eventi narrati, di lasciarsi dominare da e di dominare il lessico specifico di un autore e conseguentemente di entrare in dialogo con le sue categorie di riferimento.

La didattica della lettura, inoltre, necessita del ridestarsi del soggetto per contribuire alla formazione di una ragione aperta e curiosa. E per coinvolgere il lettore è utilissima la lettura ad alta voce dei testi per tutto il corso degli studi, dalla scuola dell’infanzia sino al liceo. “Solitamente — dice l’attore Andrea Carabelli — siamo portati a limitarci a un rapporto razionalistico o mentale con la lettura, dove l’obiettivo si riduce ad essere quello di aver ‘capito’ il libro e di riuscire a sintetizzarlo; il libro invece è veramente fatto-proprio se non è solo un fatto di intelligenza, ma anche un’esperienza di immaginazione e di uso di tutti i sensi. La lettura ad alta voce porta a un livello di implicazione personale tale da far sentire con tutto sé stessi quello che si sta leggendo fino alla totale immedesimazione di chi dice e di chi ascolta”.

Tale esperienza di immedesimazione è essenziale in primo luogo per i docenti, altrimenti difficilmente saranno in grado di trasmettere un reale interesse per il testo, e poi per gli studenti, chiamati a ospitare con tutto sé stessi l’altro che nel testo si dà, il tu che si cela e si svela nelle parole del testo. Per questo in molte scuole è favorita l’attività della drammatizzazione dei testi letterari incontrati. Ha scritto in proposito Chiara, una studentessa di seconda media, che ha partecipato alla messa in scena di alcuni racconti di Boccaccio: “Quando reciti un personaggio e devi dargli un’anima, devi far capire a chi ti osserva e ti ascolta chi è il soggetto del racconto, devi metterti in gioco e assumerti delle responsabilità. Recitare, sotto questo aspetti, diventa essere e non fingere di essere”.

Un’altra condizione affinché la lettura sia esperienza educativa riguarda l’impostazione di un metodo di analisi dei testi volto a mettere in moto lo studente a dialogare con il testo per verificare l’ipotesi di senso formulatasi durante la lettura. L’analisi diventa interessante infatti quando non è fine bensì strumento di verifica nel particolare del senso universale che inevitabilmente si coglie dando ospitalità al testo. In quest’ottica è più consona alla scuola la pratica della rilettura di quella dell’analisi tradizionalmente intesa: una volta letto il testo per vedere come va a finire, ritornare a leggerlo per verificare l’ipotesi di significato intuita o consegnata.

La rilettura è tanto più formativa ed efficace quanto più si configura come attività diversificata (rilettura alla ricerca di risposte a precise domande, scrittura, drammatizzazione, illustrazione, discussione …) in ordine a una comprensione approfondita del testo, in ciò che in esso vi è di esplicito e di implicito, a partire dall’ipotesi di senso che inevitabilmente si formula a una prima lettura, fino al paragone con l’esperienza di vita e con le domande effettive dei lettori concreti presenti in classe. Ciò implica che non si possa stabilire a priori una batteria di esercizi sempre validi per entrare nel testo, o che l’insegnante pensi alla lezione come una spiegazione di tutti gli aspetti impliciti nel testo, con una presuntuosa pretesa di esaustività.

Un ultimo interessante aspetto della didattica della lettura è la traduzione come possibilità di far emergere il senso nel rispetto dell’alterità e nel tentativo di comunicarlo ad altri. Il senso si svela e si cela, oppone una certa resistenza, e di questo si fa esperienza nell’attività traduttiva. Al contempo provare a tessere un testo nuovo a partire da un testo di partenza, nella sua lingua d’origine o addirittura in altra lingua, si rivela a scuola essere una delle attività più fruttuose per ridestare un soggetto capace di domanda, di interpretazione e di giudizio. Dalla versione in prosa, al riassunto, alla riscrittura con cambio di genere, alla traduzione da un’altra lingua… non vi è pratica traduttiva che non risulti interessante e formativa, non solo per insegnare a leggere, ma anche per insegnare a scrivere.

La lettura integrale e ad alta voce, la drammatizzazione, la “rilettura” e la traduzione si rivelano aspetti imprescindibili per una didattica della lettura coinvolgente la persona in crescita e motivante a “ospitare l’altro”, cioè l’ipotesi di senso che le parole del testo incarnano e propongono all’interpretazione e alla verifica del lettore, la quale consiste sostanzialmente in un confronto con la sua esperienza. Ospitare un testo non sarebbe infatti un passo di conoscenza reale se non implicasse un certo rischio e un reale scambio: il lettore offre la sua voce, il suo corpo, la sua esperienza e le sue conoscenze alle parole del testo affinché prendano vita; il testo offre al lettore un mondo possibile, un cosmo, la proposta di un ordine tra eventi reali o immaginari, un’ipotesi di senso. E finalmente il lettore può verificare la convenienza o meno di tale ipotesi, la sua tenuta o la sua precarietà, la sua ricchezza o povertà categoriale, confrontando il proprio mondo con il mondo possibile incontrato.

(L’articolo è un estratto dell’intervento dell’autrice al Meeting di Rimini, nell’incontro dal titolo “Rapporto con il testo: ospitare l’altro”, 23 agosto 2017)

 

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