Far crescere l’intelligenza

In sintesi potremmo dire che avete affrontato di petto i due rilievi che si fanno sempre sui ragazzi, cioè che non sanno leggere e che non sanno scrivere.

Ci siamo lasciati interrogare da questa situazione e ne abbiamo raccolto la sfida. Nel mondo della scuola spesso prevalgono il lamento e le solite frasi: “Non sono più i ragazzi di una volta, non si fanno più i temi di una volta, ecc.”.
Noi ci siamo aiutati ad abbandonare un atteggiamento lamentoso che non aiuta nessuno, né gli studenti né i docenti, partendo proprio dal guardare in faccia i problemi che effettivamente ci sono e che chiedono un cambiamento, nuove proposte, nuove forme di risposta.

Quali sono questi problemi?

Molti docenti rilevano come problema la presenza di alunni stranieri, non madrelingua, o di studenti con difficoltà di apprendimento certificate o meno, ma soprattutto e innanzitutto
è evidente a tutti il problema di una generazione – e di una società – che è diventata superficiale nel rapporto col testo. Questo è un problema che c’è e non ci si può mettere la benda sugli occhi, bisogna affrontarlo perché la scuola è il luogo in cui il testo è centrale, è vitale: senza testualità non c’è scuola. Intendendo la parola testo inteso in tutte le sue accezioni, nella forma orale, dialogica, scritta: in tutte le discipline c’è testualità.

Quindi il lavoro sul testo è un’educazione della ragione e alla ragione. Ma l’intelligenza si può educare, si può far crescere?

Questa è una sfida che abbiamo raccolto da un testo di Marina Sbisà, docente di Filosofia del Linguaggio all’Università di Trieste. Nei suoi scritti, in particolare nel suo Detto non detto. Le forme della comunicazione implicita scommette con molta forza che l’intelligenza e la capacità di lettura approfondita di un testo possano crescere.
Certo, occorre educare la domanda. La ragione si sviluppa come presa di consapevolezza di un’esigenza e ricerca degli strumenti per soddisfarla.
Quindi di fronte a un testo l’intelligenza si scatena, si sviluppa, se si percepisce l’esigenza di volerlo capire; va favorita innanzitutto la consapevolezza del bisogno di comprendere appieno, e pian piano si offriranno gli strumenti per interrogare i testi e trovare in essi le risposte.

Come dice il proverbio: “il bisogno aguzza l’ingegno”.

È così! E qui si annida un altro problema della nostra società, che si fa fuori il desiderio, si fa fuori l’esigenza perché viene subito soddisfatta – su questo sono illuminanti i libri di Massimo Recalcati. Se si tolgono il desiderio, l’esigenza, il bisogno e si dà subito la soluzione, non si permette di sviluppare gli strumenti, quindi l’autonomia, la capacità di muoversi nella vita, e sostanzialmente si tarpa l’intelligenza.
Allo stesso modo sarebbe delinquenziale sollecitare il desiderio, il bisogno, e non dare la strada per rispondere, sarebbe altrettanto devastante. O tarpare il desiderio o non suggerire la strada: in entrambi i casi si mortifica la ragione di una persona, la capacità di ragione, di intelligenza.

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