Chi ha difficoltà è mosso da testi belli e significativi

Una delle obiezioni più ricorrenti rispetto a questo tipo di approccio al testo è che non è proponibile ai ragazzi che hanno difficoltà o che provengono da altri Paesi e hanno scarsa dimestichezza con la lingua.

Evidentemente la letteratura richiede una certa competenza nella lingua in cui è scritta, quindi non si può negare che ci possono essere delle difficoltà in chi fa fatica a parlare l’italiano o ha difficoltà di apprendimento specifiche a leggere, a parlare, a scrivere.
Tuttavia noi ci siamo resi conto, non da un punto di vista teorico, ma esperienziale, che un ragazzo che ha un qualche gap rispetto agli altri è mosso non dalla banalità, non dal fatto che si abbassa sempre di più il livello testuale, ma dall’incontrare nel testo qualcosa, dalla pregnanza che può avere un testo per la sua vita, cioè da quello che un testo può offrirgli per capire chi è lui.

Puoi fare un esempio?

Un collega delle medie mi raccontava recentemente della fame di lettura che una sua alunna straniera ha: pur non avendo competenze lessicali ancora adeguate, divora libri di 300 pagine, perché ha colto l’opportunità che riveste per lei incontrare mondi possibili. Certo, li comprende in parte, ma non bisogna sottovalutare le risorse di apprendimento di un ragazzo quando si è riusciti a destare in lui il desiderio, l’interesse, la motivazione a un lavoro.
Un’altra docente, che insegna in un istituto turistico frequentato per lo più da stranieri, mi raccontava che ha letto in classe l’Addio ai monti di Manzoni ed è stato impressionante vedere i ragazzi commossi chiedersi: “Ma come fa un italiano del 1800 a provare i nostri stessi sentimenti?”. Si sono riconosciuti totalmente in questo viaggio di abbandono della propria terra che fa Lucia, raccontato da Manzoni, tanto che con la classe sono andati insieme sulla tomba di Manzoni, a Milano, al cimitero monumentale.
Questo episodio mi ha colpito molto perché l’Addio ai monti non è semplice, ha un lessico complesso, però
i ragazzi si sono mossi non perché fosse facile il testo, ma perché l’autore ha toccato qualcosa, ha dato le parole a un sentimento che loro confusamente avevano dentro, perché lo hanno sperimentato ma non avevano le parole per dirlo, per nominarlo.

E chi ha problemi di dislessia?

Mi viene in mente una ragazzina con una grave forma di dislessia; in prima media non leggeva una riga. Di fronte alla bellezza di quello che docente e compagni leggevano in classe, l’Iliade, Lo Hobbit…, si è talmente data da fare che nell’arco di tre anni ha imparato a leggere, pur con molta fatica, proprio perché era interessata a partecipare all’incontro che in classe avveniva con grandi autori, con testi densi di avventura e di significato. Adesso frequenta il liceo.

Quindi il problema è destare un interesse, qualcosa che stabilisca una relazione tra sé e il testo.

Quando un ragazzo prova interesse, ricerca lui gli strumenti per colmare quel gap tra ciò che gli manca linguisticamente e ciò che gli serve per capire quel testo. Diversamente non si muove, cioè non ha nessuno stimolo ad approfondire la conoscenza della lingua italiana, o a far la fatica di leggere se ha una difficoltà di apprendimento. È solo in risposta a una proposta significativa che i ragazzi si muovono, hanno le antenne su questo, più degli adulti; gli adulti magari per dovere superano dei limiti che hanno, i ragazzi no, solo per corrispondenza, perché trovano una corrispondenza. Di questo siamo ormai certissimi. Il che non vuol dire che poi la strada non sia faticosa.

Ovviamente se uno ha un difetto di apprendimento fa più fatica di un altro che non ce l’ha, però noi siamo convinti che il metodo per incentivare chi fa più fatica non sia abbassare il livello, ma, al contrario, mantenere alto il livello dei testi e contemporaneamente dare i tempi e gli strumenti perché un ragazzo possa fare la sua strada per arrivare a leggerli e a capirli.

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